Artista

Gli studi accademici prima, e il tempo trascorso a Milano, immerso nel fervore artistico degli anni Sessanta e Settanta, poi, hanno costituito il terreno fertile in cui Dante Bighi ha potuto esplorare nuovi mezzi e tecniche per esprimersi come artista. Villa Bighi è il luogo in cui i risultati di questa produzione sono stati raccolti negli anni, custoditi ed esposti. Il visitatore verrà guidato alla scoperta di una selezione di opere prodotte tra gli anni ’40 e i primi anni ’80 del Novecento che sono qui di seguito presentate, suddivise in base alle tipologie e alle tecniche sperimentate da Dante Bighi.

I DIPINTI DEGLI ESORDI

Due dipinti a olio su tavola, unici esempi conosciuti della produzione pittorica del grafico milanese. Opere giovanili degli anni ’40 dal titolo Chioggia e Natura ferma, prodotti presumibilmente nel periodo di frequentazione dell’Accademia di Belle Arti di Bologna, rivelano un’influenza metafisica e morandiana.

LE TECHE DI PLEXIGLASS

Presenti in un numero di circa 80 esemplari, prodotti tra il 1970 e il 1990, costituiscono la serie di opere più consistente prodotta da Dante Bighi. Sono contenitori in plexiglass trasparente, di diverse misure, di forma quadrata o rettangolare, concepiti per essere appesi alle pareti come fossero quadri. Contengono svariati tipi di oggetti raccolti dall’autore in diversi momenti della vita, durante i viaggi o negli ambienti più familiari, come l’ufficio e la casa. L’oggetto è sempre accompagnato da didascalie e indicazioni di coordinate spazio temporali: le teche diventano pagine di diario che raccontano e fermano nel tempo, attraverso immagini e parole, esperienze e sensazioni.

LE SPREMUTE

Le così dette Spremute di carta rappresentano, insieme alle teche in plexiglass, la serie che permette di inserire Bighi nel contesto delle ultime correnti artistiche contemporanee internazionali. Nel 1961 l’amico Pierre Restany aveva fondato il Nouveau Réalisme, movimento artistico attorno al quale aveva radunato personaggi come Christo, Klein, Spoerri, Rotella, Arman, César, Tinuely, accomunati dall’utilizzo di materiali desunti dalla realtà, anche quella più banale, nella produzione delle loro opere. Bighi sì è molto avvicinato alla filosofia del gruppo, sebbene la sua produzione sia sempre rimasta racchiusa negli spazi intimi dell’artista e svelata al pubblico solo negli anni ’80 grazie a una mostra antologica nel Castello Estense di Ferrara, dal titolo Partendo dalle radici.

Le spremute sono pannelli rettangolari di diversi formati (fino a 200×150 cm) realizzati tra i primi anni ’60 e il 1970, sui quali venivano incollati fogli stropicciati e compressi di carta di giornale o cellophane; dalla carta, manipolata fino a ottenere una superficie increspata, emergono solo poche lettere o frammenti di colore, dando vita a textures, composizioni grafiche e giochi cromatici.

LE COMPOSIZIONI TIPOGRAFICHE

È un nucleo di opere realizzate nella prima metà degli anni ’60, prodotte con tecniche diverse ma accomunate dall’assemblaggio di materiali di scarto recuperati, utilizzati nell’ambito dell’arte grafica e tipografica, su un formato rettangolare.
Grazie all’influenza dei nouveaux réalistes, Bighi impara a utilizzare oggetti del suo lavoro di grafico pubblicitario per conferire un carattere del tutto personale ai suoi elaborati artistici. A Villa Bighi, nella stanza dedicata alla grafica, troverete, sulla parete nera: un pannello in metallo sui quali sono montati caratteri tipografici, loghi e marchi di aziende, un pannello con assemblate le lastre di stampa realizzate per il teatro La Scala e alcuni pannelli con composizioni di caratteri tipografici in legno.

LE SCULTURE NEL PARCO

Il Parco che circonda e avvolge Villa Bighi è disseminato di installazioni artistiche inserite dal proprietario. Gli oggetti in giardino ribadiscono la tendenza di Dante Bighi al recupero di oggetti introdotti in un nuovo contesto a loro alieno, già testimoniata dalle opere disposte entro le mura della casa.

Rileggendo il linguaggio del ready made duchampiano Bighi tenta di ricreare un giardino dell’arte servendosi dell’elica di una nave, di due lavandini rovesciati e applicati in maniera simmetrica sul muro di recinzione, di tre grandi lastre di pietra, scarto di lavorazione di una cava, piantate a terra come fossero cespugli. Vediamo coppe di ceramica, usate solitamente come distanziatori per l’alta tensione, trasformarsi in fontana, oppure un paracarro di pietra giocare con un cerchio di ferro di due metri di diametro. E poi la più amata dai visitatori: la Fiat 500 cara compagna di scorribande per il capoluogo lombardo, lasciata invecchiare con la vegetazione del parco dal giorno della scomparsa del suo proprietario.